Tecniche da strada, tecniche da palestra

Come già più volte menzionato nelle varie sezioni di questo sito, si tende a fare una distinzione molto marcata tra le tecniche di combattimento insegnate in una palestra di una qualsiasi arte marziale tradizionale, e quelle che davvero "servono" per strada in caso di colluttazione.

Le arti marziali, in special modo quelle "importate" in occidente, hanno subito un’evoluzione particolare. Tutte le arti marziali, per definizione, sono nate per combattere, neutralizzare l’avversario in maniera più o meno definitiva, sopravvivere al campo di battaglia. Nella realtà dello scontro corpo a corpo di una mischia tra fanti giapponesi del periodo del Giappone medievale, c’era poco spazio per il combattente di calci volanti al viso o tecniche di controllo articolare. Si colpiva come si poteva ed il prima possibile, senza troppo curarsi dell’eleganza della tecnica. Ad essere sinceri questi fanti subivano un addestramento sommario dedicato principalmente alle armi d’ordinanza. I Samurai, i famosi custodi delle tecniche di Ju Jitsu originale, per quanto alcuni fossero degli eccellenti conoscitori di quest’arte marziale, quando chiamati in uno scontro usavano solo quell’unica, o al massimo due tecniche che riuscivano a fare istantaneamente ed inconsciamente; nonostante nella loro educazione marziale annoverassero un repertorio di tecniche vastissimo. Con l’emigrare dei maestri in paesi che non conoscevano una realtà di guerra quotidiana, alcune arti marziali in occidente sono diventate uno sport, un metodo per mantenersi psico-fisicamente in forma, e naturalmente una ricerca per un sistema di difesa personale. Purtroppo per la maggior parte di arti marziali tradizionali insegnate in occidente l’ultimo punto è un po’ trascurato. Mi spiego. A seconda del Maestro che impartisce la lezione e a seconda dello stile del sistema di combattimento, vengono affrontate delle situazioni di combattimento, a volte anche di difesa personale da strada, ma per motivi didattici si ragiona sempre in termini di situazioni ideali, che difficilmente incontreremo nella realtà che, per definizione, è imprevedibile. Molti allievi, così, memorizzano queste tecniche in maniera automatica, magari in maniera splendida, cadendo nella terribile trappola della sicurezza di poter affondare qualsiasi situazione simile per strada. Gli allievi che invece riescono a "slegarsi"da questo tipo di mentalità, oppure, i Maestri stessi che cercano di educarli ad una maggiore flessibilità tecnica e mentale, diventano concretamente in grado di affrontare una minaccia reale, e non simulata in palestra. Perché tanta enfasi su questo argomento? Perché è davvero uno dei "pericoli" più infidi delle arti marziali insegnate nelle palestre: la falsa confidenza nelle proprie capacità. Prendiamo un esempio concreto vissuto sulla mia pelle. Io ho studiato per anni Ju Jitsu "stile Bianchi". Questo sistema di combattimento giapponese è stato rivisitato da un italiano –tale Gino Bianchi- codificandolo in cento tecniche divise in cinque settori da venti tecniche l’uno. Ogni settore ha uno specifico argomento: controllo dell’avversario, proiezioni, leve articolari, soffocamenti, combinazioni di tecniche dai settori precedenti. Sono tecniche molto complesse, alcune da otto o nove passaggi consecutivi per l’esecuzione completa, alcune sono basate su di un singolo colpo percuotente. Apprenderle tutte significa raggiungere la cintura nera di Ju Jitsu primo Dan, e ci vogliono circa cinque anni di allenamento continuo. Detto questo introduciamo il discorso vero e proprio. Per difendersi da un pugno diretto al viso questo stile di Ju Jitsu può proporre almeno una trentina di tecniche diverse, che l’allievo deve imparare tutte. Alcune sono davvero rapide e risolutive, altre decisamente acrobatiche e proibitive da eseguire a muscoli freddi e senza avversario "collaborante". Tutte, comunque, partono da un presupposto molto limitante: se l’avversario ci colpisce con il pugno destro, il suo braccio sinistro è praticamente assente. Non reagisce. Non molto realistico, vero? Certo se siamo dei combattenti eccellenti con venti anni di Ju Jitsu sulle spalle diventiamo così rapidi, efficaci ed esplosivi, che prima che l’avversario pensi che ha anche un braccio sinistro da usare… E’ già a terra. Ma sinceramente di iniziare a studiare il Ju Jitsu in età adolescenziale per essere in grado di difendermi decentemente sulla trentina… Mi sembra un po’ esagerato. C’è chi riesce ad adattarsi molto prima a questi "cambiamenti tattici" durante uno scontro, ma parliamo dei famosi allievi con mentalità elastica di cui facevo riferimento poco prima. E tutti quelli che assimilano "meccanicamente" i movimenti, le posizioni e tutto? Per strada vengono macinati, o perlomeno non se la cavano bene. In pratica finiscono sotto i colpi del loro aggressori con sul viso dipinto uno sguardo interrogativo che implora un "questa reazione non era prevista…". Questo discorso vale per i confronti a mani nude e per i praticanti di arti marziali giapponesi. Sono esclusi da questo discorso i boxer, i praticanti di Muay Thay e discipline da ring simili, in quanto vengono "cresciuti" a sopportare stress fisici enormi (leggi: botte da orbi) e darle indietro con gli interessi e senza pietà. Questi individui non hanno bisogno di corsi di difesa personale. Anzi il problema e semmai un altro, insegnarli, in caso di aggressione, e NON macellare l’avversario.

Passando invece alle aggressioni armate la situazione non può che peggiorare. Se con le mani nude potremmo "gestire" la situazione, se l’avversario non è MOLTO più grande di noi, con dei coltelli e bastoni non possiamo permetterci di sbagliare. Anche qui, quando l’argomento è affrontato dal Maestro della disciplina, rischiamo di brutto di cadere nella trappola del "memorizza a perfezione la tecnica contro l’attacco che mai si presenterà così nella realtà e sentiti orgoglioso". Molto pericoloso. Prendiamo il bastone. Nelle palestre, la famosa "manganellata", è eseguita come una bastonata tirata con braccio destro steso e che prosegue fino a che il bastone, se non trova il bersaglio, sbatte per terra. Con un colpo del genere, vibrato con tale trasporto, è semplice impostare tecniche devastanti che sfruttano l’energia cinetica dell’aggressore. Ma nella realtà, la gente gente con un bastone in mano, come lo usa? Semplice, basta vedere il telegiornale quando c’è qualche filmato che riprende dei disordini allo stadio o le famose "guerriglie urbane". I poliziotti e/o carabinieri, per definizione, non ricevono alcun addestramento specifico sul maneggio del manganello d’ordinanza, quindi lo usano in maniera molto istintiva. Fateci caso. Sferrano il colpo, e poi lo ritraggono immediatamente, e poi ancora un colpo rapido. Fino a due-tre colpi al secondo. La maggior parte delle tecniche insegnate in una palestra servono a poco contro un uso del bastone del genere. Purtroppo l’addestramento che si riceve ci obbliga a focalizzarci solo sulle azione da intraprendere in funzione del comportamento dell’aggressore, il concetto sarebbe perfetto di per se stesso se non fosse per il fatto che per essere efficaci il comportamento dell’aggressore deve rispondere a certi canoni. Nella realtà per forza non può essere così. Per il coltello la situazione è addirittura drammatica. Tali problematiche sono affrontate nella sezione dedicata al combattimento con il coltello. Solo un esempio per tutti. Un mio amico, praticante di Kali, ha modo di conoscere durante il servizio di leva un ragazzo della provincia di Napoli, il quale, putroppo o per fortuna, dipende, conosce l’uso del coltello "per davvero", nonostante non abbia mai frequentato un corso di arti marziali specifico. Incuriosito dal Kali ha chiesto a questo mio amico qualche dimostrazione. Il mio amico ha chiesto a questo ragazzo di attaccarlo con un coltello d’allenamento. Il tizio parte con una classica stoccata al ventre, il mio amico reagisce d’istinto spostando il bersaglio fuori dalla traiettoria della lama e tenta di fare una chiusura sul polso armato, in quanto aveva notato il grossolano errore del ragazzo di Napoli a tenere il braccio fermo dopo che la lama non era andata a bersaglio. Appena il ragazzo ha sentito qualcosa sul polso destro è scattato passandosi il coltello dalla mano destra alla sinistra e contemporaneamente facendo un mezzo giro in senso antiorario conficcando il coltello da allenamento nel rene sinistro del mio amico. Chi di voi pensa di gestire con tecniche tradizionali un "non marzialista" di questo calibro?

In conclusione vorrei prima di tutto chiarire che non sono affatto ostile all’insegnamento delle arti marziali tradizionali. Semplicemente non sono d’accordo quando mi si sente dire che dopo tre anni scarsi di allenamento bi-settimanale di karate, judo, ecc…ecc… uno si sente pronto ad affrontare qualsiasi aggressione, solo perché è stata ricreata in palestra o sa fare N Kata del tal stile.

Imparare molte tecniche anche complesse, e forse senza senso in ultima analisi, è essenziale per un motivo semplice: memoria neuromuscolare. Dobbiamo, attraverso un serio allenamento memorizzare molte e sempre più complesse tecniche per educare il nostro cervello e i nostri muscoli a reagire con movimenti complessi, rapidi, a gestire l’equilibrio ed ad imparare ad ascoltare il nostro corpo. Dobbiamo crearci una "biblioteca" di tecniche, per poi, al momento giusto, usare… Non la più adatta, ma la tecnica più efficace, che magari non abbiamo mai fatto, ma grazie all’allenamento che abbiamo ricevuto saremo in grado, senza nessuno sforzo, di adattarci a qualsiasi situazione, quasi istantaneamente. Il problema, a questo punto, non è studiare tecniche "inutili", ma liberarsi "dell’inutile" quando è il caso di fare sul serio.

Perché la strada è una cosa, la palestra un’altra.